L’EPOCA DELLE PASSIONI TRISTI

“L’epoca delle passioni tristi” può essere considerato un classico della psichiatria nel campo dell’infanzia e soprattutto dell’adolescenza, ancora attuale nonostante in Italia sia uscito venti anni fa. Il libro analizza il cosiddetto “disagio giovanile” e diventa un appello a chi opera in ambito educativo e medico – ma anche ai genitori –, per non cadere nell’illusione di poter intervenire efficacemente limitandosi all’utilizzo di uno strumentario, per così dire, esclusivamente tecnico. Gli autori, per spiegarsi, fanno un esempio: immagina di essere un bravissimo dermatologo che opera in Patagonia, nel corso degli anni ti accorgi che purtroppo i casi di tumore alla pelle sono in netto aumento… e allora che cosa fai? Certo, continui a curare con ogni mezzo disponibile. Ma a un certo punto “questo medico non eserciterà più correttamente il suo mestiere se non si interroga sulla nuova eziologia e su ciò che, rispetto all’abituale domanda di cura, non è più abituale”. Il problema è infatti il “buco nell’ozono”. Stessa cosa per il disagio: il problema sta a monte, nel contesto ordinario di vita, e pensare di risolverlo attraverso gli strumenti che offre la pedagogia, la psicologia, la psicoterapia ecc. è piuttosto limitativo e illusorio. È necessario dunque avere la consapevolezza che questo disagio non potrà essere combattuto efficacemente senza prendere in considerazione i “valori” che vengono proposti dal nostro modello culturale di vita e che essi stessi rappresentano la vera minaccia per la salute psichica dei bambini e dei giovani. Il discorso può apparire radicale, nel senso di “estremo”, ma lo è soltanto perché, invece di accontentarsi della superficialità del quieto vivere, anche dal punto di vista professionale, scende in profondità – con la ferma convinzione che è lì che le cose devono essere cambiate.

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